la bohème,opera lirica in quattro quadri di giacomo puccini fu rappresentata per la prima volta al teatro regio di torino il 1 febbraio 1896

LA BOHÈME,'opera lirica in quattro quadri di Giacomo Puccini fu
rappresentata per la prima volta al Teatro Regio di Torino il 1
Febbraio 1896 diretta dal ventinovenne maestro Arturo Toscanini, con
buon successo di pubblico, mentre la critica ufficiale, dimostratasi
all'inizio piuttosto ostile, dovette presto allinearsi ai generali
consensi.L'opera ha la stessa fonte e lo stesso titolo dell'omonimo
spettacolo di Ruggero Leoncavallo, con cui al tempo Puccini ingaggiò
una sfida
L'esistenza gaia e spensierata di un gruppo di giovani artisti
costituisce lo sfondo dei diversi episodi in cui si snoda la vicenda
dell'opera, ambientata nella Parigi del 1830.Le arie e il duetto che
ascolterete sono tratti dal primo quadro.
La vigilia di Natale. Il pittore Marcello, che sta dipingendo un Mar
Rosso, e il poeta Rodolfo tentano di scaldarsi con la fiamma di un
caminetto che alimentano di volta in volta con il legno di una sedia e
la carta di un poema scritto da quest'ultimo. Giunge il filosofo
Colline, che si unisce agli amici. Infine il musicista Schaunard entra
trionfante con un cesto pieno di cibo e la notizia di aver finalmente
guadagnato qualche soldo. I festeggiamenti sono interrotti
dall'inaspettata visita del padrone di casa venuto a reclamare l'affitto,
che però viene liquidato con uno stratagemma. È quasi sera e i quattro
bohémiens decidono di andare al caffè di Momus. Rodolfo si attarda un
po' in casa, promettendo di raggiungerli appena finito l'articolo di
fondo per il giornale "Il Castoro".
Rimasto solo, Rodolfo sente bussare alla porta. Una voce femminile
chiede di poter entrare. È Mimì, giovine vicina di casa: le si è
spento il lume e cerca una candela per poterlo riaccendere. Una volta
riacceso il lume, la ragazza si sente male: è il primo sintomo della
tisi. Quindi fa per andarsene, quando si accorge di aver perso la
chiave della stanza: inginocchiati sul pavimento, al buio (entrambi i
lumi si sono spenti), i due iniziano a cercarla. Rodolfo la trova per
primo e la nasconde in una tasca. Quando la sua mano incontra quella
di Mimì ("Che gelida manina"), il poeta chiede alla fanciulla di
parlargli di lei. Mimì gli confida d'essere una giovane ricamatrice e
di vivere sola, facendo fiori finti.
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MADAMA BUTTERFLY di Giacomo Puccini, su libretto di Giuseppe Giacosa e
Luigi Illica, denominata originariamente "tragedia giapponese in due
atti".Sbarcato a Nagasaki, Pinkerton (tenore), ufficiale della marina
degli Stati Uniti, per vanità e spirito d'avventura si unisce in
matrimonio, secondo le usanze locali, con una geisha quindicenne di
nome Cio-cio-san , termine giapponese che significa Madama Farfalla,,
in inglese Butterfly (soprano), acquisendo così il diritto di
ripudiare la moglie anche dopo un mese; così infatti avviene, e
Pinkerton ritorna in patria abbandonando la giovanissima sposa. Ma
questa, forte di un amore ardente e tenace, pur struggendosi nella
lunga attesa accanto al bimbo nato da quelle nozze, continua a
ripetere a tutti la sua incrollabile fiducia nel ritorno dell'amato.
Pinkerton infatti ritorna dopo tre anni, ma non da solo: accompagnato
da una giovane donna, da lui sposata regolarmente negli Stati Uniti, è
venuto a prendersi il bambino, della cui esistenza è stato messo al
corrente dal console , per portarlo con sé in patria ed educarlo
secondo gli usi occidentali. Soltanto di fronte all'evidenza dei fatti
Butterfly comprende: la sua grande illusione, la felicità sognata
accanto all'uomo amato, è svanita del tutto. Decide quindi di
scomparire dalla scena del mondo, in silenzio, senza clamore; dopo
aver abbracciato disperatamente il figlio, s'immerge un pugnale nel
petto (facendo harakiri). Quando Pinkerton, sconvolto dal rimorso,
entrerà nella casa di Butterfly per chiedere il suo perdono, sarà
troppo tardi: lei ha già terminato di soffrire.
TURANDOT è un'opera in 3 atti e 5 quadri, lasciata incompiuta da
Giacomo Puccini e successivamente completata da Franco Alfano. L'idea
per l'opera venne al compositore in seguito a un incontro con i
librettisti Giuseppe Adami e Renato Simoni, avvenuto a Milano nel
marzo 1920. Nell'agosto dello stesso anno il compositore poté
ascoltare, grazie al suo amico barone Fassini, un carillon con temi
musicali proveniente dalla Cina. Alcuni di questi temi sono presenti
nella stesura definitiva della partitura.
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Alla fine della sua parabola creativa Puccini si cimenta con un
soggetto fiabesco, d'impronta fantastica.La storia si svolge a Pechino,
«al tempo delle favole».Un mandarino annuncia che il principe di
Persia, non avendo risolto i tre enigmi proposti da Turandot, sarà
decapitato pubblicamente. All'annuncio, tra la folla, sono presenti un
vecchio e una donna, che chiede aiuto. Accorre allora un giovane, che
riconosce nell'anziano suo padre, Timur, re tartaro spodestato. Si
abbracciano commossi e il giovane Calaf prega il padre e la schiava
Liù, molto devota, di non pronunciare il suo nome: ha paura, infatti,
dei regnanti cinesi, i quali hanno usurpato il trono del padre. Nel
frattempo il boia affila la lama preparandola al momento
dell'esecuzione, fissata per il momento in cui sorgerà la luna.
Ai primi chiarori lunari, entra il corteo che accompagna la vittima.
Alla vista della vittima la folla, prima eccitata, si commuove e
invoca la grazia per il condannato. Turandot allora entra e, glaciale,
ordina il silenzio alla folla e con un gesto dà l'ordine al boia di
giustiziare l'uomo.
Calaf, impressionato dalla regale bellezza di Turandot, decide di
tentare anche lui la risoluzione dei tre enigmi. Timur e Liù tentano
di fermarlo, ma lui si lancia verso il gong dell'atrio del palazzo
imperiale. Tre figure lo fermano: Ping, Pong e Pang, tre ministri del
regno, che tentano di convincere Calaf descrivendo l'insensatezza
dell'azione che sta per compiere. Ma Calaf, quasi in una sorta di
delirio, si libera di loro e suona tre volte il gong, invocando il
nome di Turandot.
È notte. Ping, Pong e Pang si lamentano di come, in qualità di
ministri del regno, siano costretti ad assistere alle esecuzioni delle
troppe sfortunate vittime di Turandot, mentre preferirebbero vivere
tranquillamente nei loro possedimenti in campagna.
Sul piazzale della reggia, tutto è pronto per il rito dei tre enigmi.
L'imperatore Altoum invita il principe ignoto, Calaf, a desistere, ma
quest'ultimo rifiuta. Il mandarino fa dunque iniziare la prova mentre
entra Turandot. La bella principessa spiega il motivo del suo
comportamento: molti anni prima il suo regno era caduto nelle mani dei
tartari e, in seguito a ciò, una sua antenata era finita nelle mani di
uno straniero. In ricordo della sua morte, Turandot aveva giurato che
non si sarebbe mai lasciata possedere da un uomo: per questo, aveva
inventato questo rito degli enigmi, convinta che nessuno li avrebbe
mai risolti.
Calaf riesce a risolvere gli enigmi e la principessa, disperata, si
getta ai piedi del padre, supplicandolo di non consegnarla allo
straniero. Ma per l'imperatore la parola data è sacra. Turandot si
rivolge allora al Principe e lo ammonisce che in questo modo egli avrà
solo una donna riluttante e piena d'odio. Calaf la scioglie allora dal
giuramento proponendole a sua volta una sfida: se la principessa prima
dell'alba riuscirà ad indovinare il suo nome, egli si sottoporrà alla
scure del boia. Il nuovo patto è accettato, mentre risuona un'ultima
volta, solenne, l'inno imperiale.
È notte e in lontananza si sentono gli araldi che portano l'ordine
della principessa: quella notte nessuno deve dormire, il nome del
principe ignoto deve essere scoperto ad ogni costo. Calaf intanto è
sveglio, sognando le labbra di Turandot, finalmente libera dall'odio e
dall'indifferenza.
Giungono Ping, Pong e Pang, che offrono a Calaf qualsiasi cosa per il
suo nome. Ma il principe rifiuta. Nel frattempo, Liù e Timur vengono
portati davanti ai tre ministri. Appare anche Turandot, che ordina
loro di parlare. Liù, per difendere Timur, afferma di essere la sola a
conoscere il nome del principe ignoto, ma dice anche che non svelerà
mai questo nome. Subisce molte torture, ma continua a tacere,
riuscendo a stupire Turandot: le chiede cosa le dia tanta forza per
sopportare le torture, e Liù risponde che è l'amore a darle questa
forza.
Turandot è turbata da questa dichiarazione, ma torna ad essere la
solita gelida principessa: ordina ai tre ministri di scoprire ad ogni
costo il nome del principe ignoto. Liù, capendo che non riuscirà a
tenerlo nascosto ancora, riesce a prendere un pugnale e ad uccidersi,
cadendo esanime ai piedi di Calaf.
Il corpo senza vita di Liù viene portato via seguito dalla folla che
prega. Turandot e Calaf restano soli e lui la bacia. La principessa
dapprima lo respinge, ma poi ammette di aver avuto paura di lui la
prima volta che l'aveva visto, e di essere ormai travolta dalla
passione. Tuttavia ella è molto orgogliosa, e supplica il principe di
non volerla umiliare. Calaf le fa il dono della vita e le rivela il
nome: Calaf, figlio di Timur.
Il giorno dopo, davanti al palazzo reale, davanti al trono imperiale è
riunita una grande folla. Squillano le trombe e Turandot afferma di
conoscere finalmente il nome dello straniero: "Amore!". Tra le grida
di giubilo della folla, abbraccia Calaf abbandonandosi tra le sue
braccia.
La prima rappresentazione ebbe luogo al Teatro alla Scala di Milano,
il 25 aprile 1926, sotto la direzione di Arturo Toscanini, il quale,
profondamente commosso, arrestò la rappresentazione a metà del terzo
atto, due battute dopo il verso "Liù, poesia!", sussurrando al
pubblico le parole: "Qui termina la rappresentazione perché a questo
punto il Maestro è morto".
Nessun dorma È intonata dal personaggio di Calaf all'inizio del terzo
atto. Immerso nella notte di Pechino, in totale solitudine, il
"Principe ignoto" attende il giorno nel quale potrà finalmente
conquistare l'amore di Turandot, la principessa di ghiaccio.
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E lucevan le stelle è una romanza per tenore dalla Tosca di Giacomo
Puccini.
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Nel terzo atto, aspettando la sua esecuzione a Castel Sant'Angelo,
Cavaradossi rievoca i momenti passati con Tosca. In Si minore, la
romanza è aperta da un nostalgico assolo di clarinetto, la cui melodia
è ripresa dal tenore, in modo pressoché letterale, a partire dal verso
«Oh! dolci baci, o languide carezze». La melodia, già udita
nell'ultima parte dell'introduzione all'atto III, torna in forma di
breve perorazione orchestrale anche nelle battute finali dell'opera,
nel momento in cui Tosca si getta dalla rupe.
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Mattinata è una celebre romanza scritta da Ruggero Leoncavallo nel
1904 espressamente per l'allora Gramophone Company e avendo in mente
l'interpretazione di Enrico Caruso, che ne fu il primo interprete
nell'esecuzione registrata l' 8 aprile 1904, con lo stesso Leoncavallo
al pianoforte.
Dopo di allora quest'aria è stata interpretata da quasi tutti i
principali tenori ed è divenuta un classico dei concerti lirici.
Cavalleria rusticana è la prima opera composta da Mascagni. Il suo
successo fu enorme già dalla prima volta in cui venne rappresentata al
Teatro Costanzi di Roma, il 17 maggio 1890, e tale è rimasto fino a
oggi. Basti pensare che ai tempi della morte di Mascagni, avvenuta nel
1945, l'opera era già stata rappresentata più di quattordicimila volte
solo in Italia.
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La scena si svolge in un paese siciliano (ispirato a Vizzini) durante
il giorno di Pasqua. Ancora a sipario calato, si sente Turiddu, il
tenore, cantare una serenata a Lola, sua promessa sposa che durante il
servizio militare di Turiddu ha però sposato Alfio. La scena si
riempie di paesani e paesane in festa, giunge anche Santa, detta
Santuzza, attuale fidanzata di Turiddu, che non si sente di entrare in
chiesa sentendosi in grave peccato. Entra allora in casa di mamma
Lucia, madre di Turiddu, chiedendole notizie del figlio.
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Lucia dice a Santuzza che Turiddu è andato a Francofonte a comprare il
vino, ma Santa sostiene di aver visto Turiddu che si aggirava sotto la
casa di Lola. La stessa notizia arriva anche ad Alfio, che ignaro di
tutto va a trovare Lucia. A questo punto Santuzza svela a Lucia la
relazione tra Turiddu e Lola. Egli ormai l'ha disonorata per ripicca
contro Lola, alla quale prima di andare soldato aveva giurato fedeltà
eterna, e che ora continua a frequentare sebbene sia sposata. Giunge
dunque Turiddu che discute animatamente con Santa; interviene anche
Lola che sta per recarsi in chiesa, e le due donne si scambiano
battute ironiche.
Turiddu segue Lola, che è sola perché il marito lavora. Santuzza
augura a Turiddu la malapasqua e, vedendo arrivare Alfio, gli denuncia
la tresca amorosa della moglie. Dopo la messa, Turiddu offre vino a
tutti i paesani. Alfio entra nella piccola bottega e con un guanto lo
schiaffeggia sfidandolo a duello. Turiddu corre a salutare la madre e
ubriaco, le dice addio e le affida Santuzza.
Subito dopo si sente un vociare di donne e popolani. Un urlo sovrasta
gli altri: "Hanno ammazzato compare Turiddu!".

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