ordine degli architetti pianificatori ... la sapienza universita’ di roma facolta’ di architettura in collaborazione con a.a.m. archite

ORDINE DEGLI ARCHITETTI PIANIFICATORI ...
LA SAPIENZA UNIVERSITA’ DI ROMA FACOLTA’ DI ARCHITETTURA
in collaborazione con
A.A.M. ARCHITETTURA ARTE MODERNA VIA DEI BANCHI VECCHI 61 - 00186 ROMA
Tel.0668307537
ARCHIVIO DEL DISEGNO MODERNO E CONTEMPORANEO
Centro di Produzione e Promozione di Iniziative Culturali, Studi e
Ricerche - [email protected] - www.aamgalleria.it
CLAUDIO SCARINGELLA
FUGA IN A MINORE
SETTE PAESAGGI TRA NATURA E ARCHITETTURA : 2006 – 2012
A cura di Francesco Moschini
Martedì 20 Marzo - Sabato 21 Aprile 2012 Orario di apertura, tutti i
giorni
Si inaugura martedì 20 marzo una mostra dedicata a Claudio
Scaringella, incentrata su un corpus unitario di lavori di grande
formato che trasferiscono nella nuova dimensione un universo
figurativo che l’autore porta avanti da oltre trent’anni come
riflessione teorica parallela alla sua attività progettuale. La mostra
è articolata in due sedi, quella dell’Ordine degli Architetti e quella
della Facoltà di Architettura, secondo un criterio processuale, vale a
dire che in Facoltà vengono esposti i disegni di piccolo formato
propedeutici ai raggiungimenti finali, presso l’Ordine sono invece
esposte le sette grandi tavole su lucido nonché le sette tele trattate
su cui i lucidi sono stati trasferiti, manipolati e rielaborati con
infittimenti e inspessimenti materici e cromatici. I sette lavori
presentati oltre che trasferire in una dimensione monumentale
l’universo figurativo dell’autore ostinatamente proteso a porsi come
curioso esploratore di mondi paralleli, con i suoi ossessivi ritorni,
abbandoni e riprese quasi a rimandare sempre oltre il raggiungimento
di elementi di definizione quasi nulla dovesse concludersi in maniera
ultimativa, sembrano porsi come vere e proprie lezioni “sulla visione”
perché è proprio “sul vedere” che Claudio Scaringella imposta i propri
paesaggi d’invenzione. Lo stesso modo di accompagnarci, di farci
entrare nella lettura del palinsesto grafico è studiato secondo
un’idea di variazione continua quasi a costringerci ogni volta ad
attrezzarci diversamente se non a scardinare ogni possibile
assuefazione. Si passa così dalla radente veduta a volo d’uccello
dello smisurato sistema trilitico che ci trasporta verso e oltre i
limiti fisici dell’opera alle stratificazioni di un mondo di
sovrapposizioni di giochi froebeliani arricchiti e resi complessi per
togliere loro quella respingente laconicità che solo in una dimensione
infantile potevamo accettare e trovare piacevole, al vertiginoso
arrivo in primo piano come un treno in corsa di quella memoria di
acquedotto reso abitato nella sua articolata diversificazione degli
ordini sovrapposti, alla grande muraglia che secondo una diagonale che
si contrappone alla precedente ordina e invita pur essendo
intrappolata, bloccata e raggelata da un blocco smisuratamente grande
che ne fissa un ideale centro cui attorno si costruisce per
proliferazione spaziale un imbozzolamento da paziente elaborazione di
un baco da seta costruttore di paesaggi, alla grande macchina
belvedere, resa macchina celibe, di cui affiora nel foglio solo la
parte terminale collassata nella sua duplicità di perfetta e levigata
esibizione di una primordiale tecnologia intaccata da più
naturalistiche concrezioni, alla civetteria di un paesaggio
graziosamente sollecitato da improbabili alture artificiali e naturali
da cui fuoriescono come improvvise folgorazioni turriti elementi
elicoidali, disassati come sbilenchi reperti del Sacro Bosco di
Bomarzo, impermeabili strutture totemiche volutamente protese a negare
l’ascensionalità illimitata della brancusiana colonna infinita o
tentativi di radicamento architettonico reso nell’estrema labilità del
puro appoggio sul declivio, infine, chiude la sequenza l’apparizione,
in primo piano di una sorta di “Montagna Sacra” che per estrusioni
successive potrebbe innalzarsi sempre più ma nel suo rovesciamento
verso la ribalta visiva sembra offrirsi nella sua condizione di grande
frammento e non può così che costringerci, nel suo rispecchiamento
della volta celeste, a limitarci alla nostra unica condizione di
spettatori muti portati ad accettare la nostra condizione di
“impossibilità”. Come sempre anche in questa occasione espositiva
l’intero percorso della ricerca “privatissima” di C. Scaringella si
presenta come una sorta di costrizione a darsi come “continuo lavoro
interrotto”, volutamente lasciato nella stessa condizione di
instabilità e di precarietà con cui si presentano gli oggetti, le cose
che compaiono nel suo universo di riferimento. Nello stesso tempo però
altre figure del suo immaginario puntano decisamente su una
sospensione, se non su un immobilismo, davvero sorprendenti per un
autore che ha fatto invece della concitazione, del sovvertimento degli
equilibri il suo punto di forza. Ecco chiarirsi allora il senso che
l’autore assegna al suo lavoro, che proprio perché si vuol dare come
ipertesto del tutto artigianale ed autobiografico, deve puntare su
repentini scambi di ruoli, di senso delle cose, di metodologie del
fare, di motivi e di tecniche. In una sorta di instabile nomadismo
propenso alla sperimentazione, di ricercata disidentità, se non di
spiazzamento di se stesso in quanto autore, rifuggendo anzi da una
romantica idea di autorialità, egli può confrontarsi con opposte
polarità all’interno del suo stesso lavoro. Ma nello stesso tempo
l’autore non esita a ricorrere alla densità cromatica e pittorica,
certo non per amore di una vagheggiata collocazione del suo modus
operandi all’interno di qualche corrente artistica figurativa, quanto
piuttosto per sottolineare con quel tipo di pittura, a volte persino
sfrontata nel suo essere stesa velocemente, quasi negandosi ogni
bellezza residuale, una sua idea di antigrazioso, di poco
accondiscendente, per niente consolatorio, che il suo ricorrente
primitivismo formale e tecnico tendono ad accentuare. Ma gli stessi
riferimenti cui ho fatto ricorso per spiegare l’opera di C.
Scaringella, poco chiariscono se non teniamo presente il suo continuo
“allontanarsi” dalla privilegiata condizione di appartenenza alla
elitaria compagine della ricerca artistica e architettonica, come uno
sciamano, con un ruolo però riconosciuto tra i suoi adepti, egli si
costringe a ruoli e visioni profetiche che vanno soltanto
interpretate, decifrate e che ciascuno tenderà a ricondurre nell’alveo
che più gli sembra congeniale. Da ciò, da parte dell’autore la
predilezione per la frammentarietà di una zoomata che riconduca però
lo stesso esercizio artistico-architettonico ad una dimensione etica.
L’autore insegue pertanto la vagheggiata armonia tra corpo e ragione,
tra reale e immaginario, tra artificio e natura, coinvolgendo la
dimensione onirica, la sua vena più surreale, ma senza preoccuparsi di
contaminarla con una propensione metafisica. Il ricorso all’archetipo
si contamina con il mito, con la continua allusione ad una dimensione
paradossale in cui il “sorprendente” si alterna all’improvvisa e
poetica apparizione, la fatica e il peso della costruzione alla forza
ed alla brutalità del lavoro, la dimensione solare a quella più
tenebrosa, il troppo vicino allo squadernamento visivo da
aereopittura, la forza dell’antico che avanza alla dirompente
sconnessione del nuovo che non riesce a darsi come tale.

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  • ANEXO 1 BIENES MATERIA DEL BENEFICIO BIENES DEL ANEXO
  • IZDAVANJE VIZA I OPŠTE ODREDBE DA BI SE STRANCIMA