r ochefort. abbaye notre-dame de saint-remy, b- 5430 rochefort, tel. 084 21.31.81 il convento fu fondato nel 1230 nella valle di saint remy

R ochefort.
Abbaye Notre-Dame de Saint-Remy, B- 5430 Rochefort, TEL. 084 21.31.81
Il convento fu fondato nel 1230 nella valle di Saint Remy, presso
Rochefort, cittadina del Belgio sud-orientale (Vallonia), col nome
Secours-Notre Dame ed inizialmente fu abitato da suore che dovettero
sopportare le difficile condizioni climatiche e l’aridità del suolo.
Nel 1464 furono sostituite dai monaci cistercensi di Félipré (Givet)
che rimasero fino al 1794, cioè alla Rivoluzione Francese, quando le
strutture vennero espropriate e distrutte. Nel 1887 vi tornarono i
monaci dell'ordine dei Cistercensi di Stretta osservanza, denominati
Trappisti a causa dei legami storici con l'abbazia della Trappe, in
Francia, e del ruolo di questa nella riforma dell'Ordine Cistercense
del XVII secolo, che fecero rifiorire la vita monastica. Nel corso dei
secoli il monastero, non si salvò da guerre, saccheggi, devastazioni,
incendi. Nonostante le prove, si è sempre ripreso dalle sue rovine;
"Curvata Resurgo" è il suo motto. Il monastero è nascosto tra gli
alberi, appena dopo una collinetta.Gli edifici più antichi tra quelli
rimasti risalgono al 1600.
Fedele alla vocazione contemplativa di Citeaux, l’Abbazia vuole
restare un'oasi di pace, un luogo di silenzio e di preghiera in una
vera comunione. I Trappisti sono un Ordine in cui vige la regola del
silenzio: possono parlare solo per pregare o per esigenze di studio e
di lavoro. Anche se le regole più rigide sono state allentate dal
Vaticano nel 1965, Rochefort è una delle Abbazie Trappiste dove
vengono ancora interpretate più severamente. Il monastero (e quindi la
birreria che è all’interno) non è aperto ai ai visitatori occasionali
(ma esiste, come in molti altri monasteri Trappisti, un’ala attrezzata
per accogliere i fedeli che vogliono trascorrere alcuni giorni di
ritiro spirituale, adattandosi però alla vita dei monaci), ma la
chiesa abbaziale è in gran parte accessibile a tutti coloro che vi si
vogliono raccogliere. Nel monastero vivono attualmente circa 25 frati,
e la vita media è molto lunga.
L a Comunità monastica di San Rémy ha scelto di svolgere la sua
attività economica, cui è obbligata dalla regola di San Benedetto (RB
48.8: “Sei un monaco solo se vivi del lavoro delle tue mani”) per
essere autosufficiente, nel settore agroalimentare. E così produce, da
secoli, una birra che è diventata molto apprezzata. Quattro monaci
lavorano nella birreria, assieme a 5 laici: si alzano alle 3.15 e
preparano la prima miscela prima di partecipare alla Messa delle 7.00.
Documenti dimostrano che il monastero ebbe una birreria fino dal 1595,
con orzo e luppolo coltivati allora nei propri campi. La birreria
attuale fu costruita nel 1899, data a cui risalgono la maggior parte
degli edifici che ancora formano l’Abbazia. Dopo aver superato senza
troppi danni il periodo d’inizio secolo e le 2 guerre mondiali, con le
invasioni tedesche, la birreria entra nella fase moderna, quella più
interessante perché inizia la produzione delle birre attuali. Nel
1948, sei persone lavoravano nella fattoria dell’Abbazia e solo una
nella birreria, ma la redditività della fattoria progressivamente calò
e la birreria divenne la principale fonte di reddito della Comunità di
monaci, soprattutto per la maggiore richiesta della popolazione
locale. Nel 1949 fu addirittura creato un negozio nelle cripte della
Chiesa. Il successo non durò a lungo perché la modernizzazione della
birreria di Scourmont ed il miglioramento delle birre di Chimay creò
concorrenza tale da causare un crollo nelle vendite (non erano ancora
in produzione le birre di oggi!). L’abate di Rochefort chiese a Chimay
di bloccare le vendite nell’area di Rochefort, ma ciò si rivelò
impossibile a causa degli accordi commerciali già esistenti tra Chimay
ed il distributore. A questo punto a Rochefort non restò che
migliorare la qualità delle sue birre, e questa competizione si rivelò
salutare: la solidarietà tra Abbazie (e l’imbarazzo per l’effetto
negativo della propria concorrenza) portò la stessa Abbazia di
Scourmont ad aiutare quella di Rochefort a rivedere la produzione.
Quando nel 1952 fu iniziata l’opera di modernizzazione a Rochefort
venivano prodotte due birre: la birra del Refettorio e quella che era
l’antesignana della Rochefort 6. Per aumentare le chance di successo
era necessario ripensarle ed ampliare la gamma. Nel Settembre
successivo il Professor De Clerk, che era stato già coinvolto nella
modernizzazione della birreria di Chimay, arrivò alla conclusione che
non era necessario installare un nuovo impianto produttivo ma sarebbe
bastato rivedere i metodi di lavoro, migliorando l’igiene e svolgendo
regolari controlli microbiologici. Padre Paulin, settantunenne, che
era il mastrobirraio dal 1910, fu rimpiazzato da Padre Hubert
Morsomme, che fu spedito per 15 giorni a Chimay ad imparare il
mestiere. La birreria, quasi invariata dal 1902, fu temporanemente
mantenuta: consisteva di un tino di miscelazione, che svolgeva anche
la funzione di filtraggio, e due bollitori in rame. Inizialmente il
riscaldamento avveniva bruciando legno ma successivamente si passò al
carbone: i fuochi erano ospitati da carrelli con ruote che venivano
posti sotto I bollitori e rimossi quando la temperatura adeguata
veniva raggiunta. La prima essenziale modernizzazione fu la
sostituzione dei barili di fermentazione in legno con quattro
fermentatori aperti in acciaio. Si comprò quindi dall’Abbazia di
Scourmont un impianto d’imbottigliamento usato ma più moderno e
l’acquisto di in nuovo bollitore completò il rinnovamento
dell’impianto. Su indicazione e con l’aiuto dei colleghi di Chimay le
ricette vennero seguite scrupolosamente e si iniziò ad usare il
lievito selezionato, con pazienza monacale, da Padre Théodore di
Scourmont. La birra del Refettorio venne usata come punto di partenza
e d’ispirazione per la creazione della Middel. Seguì la Rochefort 10,
una nuova birra soprannominata Merveille. Produrre la Rochefort 10
richiedeva zucchero candito e Padre Damien van Diemen inventò un
cestello di metallo per macerarlo nel mosto. Il 16 Febbraio 1953 fu
prodotto il primo lotto di Rochefort 6, 1o più alta in densità di
quella prodotta per i malati durante la guerra, ma allo stesso costo.
Nel Maggio 1953 la birreria comprò un lotto di 13.600 nuove bottiglie
da 30cl (prima la misura era sempre stata quella da 75cl!) per cui, in
Novembre, Padre Paul van Mansfeld creò le famosa etichette con
caratteri gotici. Il 4 Dicembre la birreria consegnò i primi cartoni
di Rochefort nouvelle cuvee, che fu un grande successo: la seconda
fermentazione avveniva nelle cripte sotto la Chiesa. L’Abbazia ai
tempi possedeva un camion per le consegne a domicilio ed ai negozi,
anche a parecchia distanza. In estate le alte temperature portavano
all’esplosione dei tappi, ed era necessario trasportare la birra
ricoprendola con sacchi di juta. Nel ‘76 il servizio fu sospeso,
essendoci ormai una rete di distribuzione organizzata, ma dieci anni
prima contava per il 15% delle vendite. Attualmente l’Abbazia vende
direttamente solo ad amici e parenti dei monaci. Nel 1955 le vendite
raddoppiarono. Nel frattempo fu brassata per la prima volta la
Rochefort 8 o Spéciale. Nel 1957 le vendite triplicarono. Nel 1958
(solo sei anni dopo l’installazione) l’impianto d’imbottigliamento fu
rimpiazzato da uno più efficiente e più grande (fu necessario anche
costruire un nuovo edificio per ospitarlo), che poteva però gestire
solo le bottiglie da 33cl con tappi a corona, perché non c’erano
abbastanza soldi per acquistarne uno più flessibile. In passato le
bottiglie di Rochefort erano personalizzate, con il logo serigrafato,
ma ora, per motivi di economia e disponibilità, si è scelto di
utilizzare bottiglie standard. Siccome i lieviti di Chimay si
rivelarono poco adatti alla tipologia delle birre di Rochefort, nel
1960 vennero rimpiazzati da altri resi disponibili ai monaci dal
signor Caulier, consulente tecnico dell’Abbazia e direttore di
produzione della birreria Palm. Il suo successore, Willem Van
Herreweghen, è il consulente tecnico attuale. Il lievito è conservato
nell’Abbazia (ce n’è un ceppo di scorta per sicurezza presso
l’università di Louvain-la-Neuve) e ricoltivato, se necessario
(mediamente due volte l’anno), nei suoi laboratori: ha l’importante
caratteristica di produrre molti esteri, che danno alle birre di
Rochefort il loro particolare aroma. Nel 1960 la birreria venne
ampliata ingrandendola di molto. Nel 1961 vennero installati nuovi
impianti ed i vecchi vennero smantellati. Quattro silos per il malto,
ognuno da 10.000 Kg, e la macina furono posizionati nello spazio
liberato. L’olio combustibile rimpiazzò il carbone come mezzo di
riscaldamento e nel 1967 il riscaldamento diretto al di sotto dei
bollitori venne sostituito con serpentine percorse da vapore al loro
interno. Nel 1973 venne nuovamente comprato un impianto
d’imbottigliamento, capace di 17.000 bottiglie all’ora (300hl, cioè la
produzione d’un’intera settimana, in 6 ore), ma questo portò alla
soppressione della Middel, prodotta ormai in quantità talmente ridotte
da non giustificarne l’imbottigliamento automatico. Si iniziarono ad
utilizzare cestelli di plastica al posto di quelli di legno, perché
erano più facilmente impilabili nei pallet. Questo portò a dover
alzare la temperatura per la fermentazione secondaria da 22° a 23°, e
siccome questo avveniva sotto la Chiesa, fungeva anche da
riscaldamento per i fedeli. Siccome però i camion non potevano
accedere a questa cripta, si rivelò necessario costruire nuove celle
di maturazione al piano terra, adiacenti all’impianto
d’imbottigliamento: queste sale, disegnate per contenere 3.750
cartoni, esattamente la produzione settimanale di 300 ettolitri (cioè
15.600 hl l’anno, quantitàche resta costante dagli anni ’60), non sono
riscaldate ma solo ben isolate: questo è il motivo per cui la birra
viene scaldata a 28° al momento dell’imbottigliamento. Dopo 4 giorni
la temperatura scende a circa 20° ed in queste condizioni la
fermentazione secondaria resta attiva. In alcune settimane si brassano
per 3 giorni 100hl a volta (per la Rochefort 8), e s’imbottiglia il
Giovedì, in altre per quattro giorni 75hl al giorno (Rochefort 10). La
birreria non lavora quindi a piena capacità, ma è una scelta: la
produzione di Rochefort è bassa anche per un monastero ma non importa
che le birre siano difficili da reperire, perche è un’attività che non
segue finalità di profitto. Dom Albert van Iterson, direttore della
birreria nel 1981, disse: "Non è un problema, non siamo schiavi della
domanda: la birra supporta l’Abbazia ed i dipendenti che ci lavorano e
ci serve solo guadagnare qualcosa in più per sostenere iniziative
sociali e caritatevoli. Noi stabiliamo i limiti: per accontentare le
richieste dovremmo produrre fino a venti volte a settimana. Ma non
siamo un’organizzazione commerciale e non vogliamo diventarlo: siamo
monaci! Lavoriamo solo il necessario e non vogliamo una vita
stressante.” La produzione è volontariamente limitata ed avviene tutta
all’interno delle mura dell’Abbazia. Le dimensioni modeste
dell'industria della birra permettono ai monaci trappisti ed ai loro
collaboratori un controllo perfetto della fabbricazione. I monaci sono
orgogliosi dei loro prodotti e rinunciano a pensare su larga scala:
niente pubblicità, nessun compromesso sulla qualità né concessioni
alle mode del momento, etichette essenziali con le strette indicazioni
di legge, niente merchandising (in questo si distinguono persino da
altre birrerie trappiste). Rochefort non ha nemmeno un locale di
mescita della birra strettamente collegato all’Abbazia, come invece
hanno ad esempio a Westmalle, WestVleteren ed Orval: c’è solo da
qualche anno nel centro del paese di Rochefort, quindi non vicinissimo
all’Abbazia, un piccolo negozio con annesso un ristorantino, in cui
comunque non si servono menù completi. Qui si possono trovare tutte le
birre di Rochefort che però vengono vendute solo in piccole quantità
(non si trovano per esempio i cartoni) ed anche prodotti trappisti di
altri monasteri (formaggio, pane, paté, che Rochefort non produce).
Rochefort è famoso per la birra trappista, che attira in questo
piccolo paesino 600.000 turisti all’anno, ma in questa parte delle
Ardenne si produce anche dell’ottimo burro, formaggio, confetture di
frutta e pane, e nelle zone collinari ogni villaggio offre prodotti
locali quali uova fresche, formaggio di capra, conigli, foie gras.
L ’abbazia di Notre Dame de Saint Remy è uno dei soli sette
produttori di birra “trappista autentica”, un marchio registrato e
soggetto a leggi ferree. Le birre Rochefort sono tra le migliori nel
loro genere, le più complesse, le più gustose e le più vicine, assieme
alle Westvleteren, alla tradizione artigianale belga. L’abbazia vanta
tre prodotti sul mercato, (tutte birre scure ed ad alta fermentazione,
rifermentate in bottiglia), identificati soltanto da un numero che
indica la “forza” della birra secondo l´unità di misura belga, che
differisce dalla gradazione alcolica e ne è praticamente sempre
inferiore: 6 (7,5%) - 8 (9,2%) e 10 (11,3%). Fino al 1993 era
obbligatorio in Belgio questo tipo d’indicazione e l’accisa si pagava
secondo questa scala, detta scala Baumé. Successivamente le leggi
della CEE l’hanno mandata in pensione. Rappresenta il rapporto tra la
densità della miscela iniziale malto/acqua e quella dell’acqua, che è
ovviamente 1 (ciè 1Kg x decimetro cubo): Se 1KG di la miscela pesa
1,067Kg, la sua gradazione è di 7o B (gradi Baumé, scritto proprio
così!), perché si considera solo il secondo decimale: in pratica si
pesa un Kg di miscela, si arrotonda al centesimo più vicino, si toglie
1 ed alla fine si moltiplica per cento: (1,07-1)*100. Non c’è
relazione tra i gradi belgi Baumé e il contenuto in alcohol, che
dipende dal tipo di lievito usato, dalla quantità di zucchero
fermentabile nella miscela e da quanto viene lasciato svolgersi il
processo di fermentazione da parte del birraio, che in teoria può
essere interrotto, p.e. mediante filtrazione, prima di essersi
completato. Il grado Baumé è invece legato direttamente alla
gradazione Plato (o Balling che è pressochè identica) ed infatti lo si
può ricavare dividendo la gradazione Plato per 2,6 e sottraendo 0,13
al risultato. In realtà le birre di Rochefort si sottraggono a questa
formula: p.e. la Rochefort 10 dovrebbe avere 26,3 gradi Plato, mentre
ne ha solo 24,5°. Ma c’è una spiegazione: il nome è stato mantenuto
dal passato, in cui la birra era più forte.
A nche se oggi i giornalisti vengono ricevuti, è meno difficile
visitare convento e birreria (dirante la nostra seconda visita a
Rochefort abbiamo visitato gli impianti e conosciuto Gumer Santos,
belga d’origini spagnole, l’ingegnere chimico responsabile della
qualità del prodotto, specializzato all’università di Louvain-la-Neuve
nelle tecniche di produzione della birra, ndr) e l’Abate attuale è un
po’ più aperto nel dare informazioni sul processo di produzione, le
birre di Rochefort sono ancora in qualche modo avvolte nel
misteroPadre Antoine (nella foto a sinistra), mastro birraio di
Rochefort fino al 1997, in età avanzata s’è successivamente spostato
ad Achel per riposare: ma nel 2001 è stato pregato di sostituire Padre
Thomas di Westmalle, ormai impossibilitato per motivi di salute, nello
sviluppo delle loro nuove birre, ed ha introdotto la triple e la
dubbel (ora s’è ritirato e lo si vede ancora spesso a Rochefort). Il
suo successore è Padre Piere. Rochefort ha influenza su Achel riguardo
alla birra (scelta delle materie prime, ecc.) ma Achel storicamente è
precedente, anzi furono proprio monaci provenienti da Achel a
rifondare nel 1887 il monastero moderno di Rochefort. Interessante è
notare che i frati bevono birra solo nei giorni delle feste più
importanti!
U n’immagine di S. Arnoldo, il santo patrono belga dei
birrai, domina la spaziosa sala di brassaggio (8x30m), dove campeggia
anche una grande croce, come in tutte le birrerie trappiste: è
senz’altro la più bella del Belgio ed alcuni la chiamano “la
cattedrale della birra”. Ci sono due bellissime cuveé di rame rosso,
il tino di miscelazione ed il bollitore, e, sul retro e rialzato, il
tino per la filtrazione. Qeste cisterne sono sormontate de una
batteria di spettacolari tubi di rame (visibili in queste foto dove
compare anche Padre Piére, l’attuale Mastro birraio). Nella sala
accanto c’è l’impianto di raffreddamento, la centrifuga e “l’uovo del
lievito”, un recipiente ovale che contiena appunto il lievito. La sala
di fermentazione è adiacente e contiene tre fermentatori
cilindro-conici, due da 40.000 litri ed uno da 23.000 litri,
installati nel 2002 che permettono una pulizia automatica più
efficiente rispètto a quelli usati in precedenza: ciò non significa
solo meno lavoro manuale ma anche un più precisa utilizzazione dei
detergenti, più economia e minor impatto sull’ambiente. Per ora
l’Abbazia non ha un impianto di purificazione della acque di scarico,
che vengono convogliate al depuratore locale, ma sta valutando di
dotarsene. La cripta della Chiesa contiene oggi un interessante museo,
non aperto però al pubblico: contiene vecchi motori elettrici d’inizio
secolo, enormi barili in legno da 600 litri, un impianto
d’imbottigliamento manuale a quattro spine, un tappatore sempre
manuale, le famose palette e forche per la miscelazione. L’impianto
d’imbottigliamento è piuttosto recente e completamente controllato da
computer, a parte per quello che riguarda il posizionamento dei
cartoni sui pallet. E’ il solo lavoro pesante fatto a mano.
L’imbottigliamente avviene una sola volta a settimana, il Giovedì, con
l’aiuto di quasi tutti i frati.
Della ricetta sappiamo che la sorgente d’acqua (detta Tridaine) è
posta 42m più in alto rispetto al monastero e può esservi trasportata
quindi senza essere pompata. E’ un’acqua piuttosto dura (calcarea), ma
non viene trattata prima dell’utilizzo per il brassaggio (viene
trattata solo quella usata per il lavaggio delle bottiglie). Durante
l’ebollizione viene aggiunto del coriandolo (ma sicuramente si usano
altre spezie e, sembra, una miscela segreta di erbe…); sono usati due
tipi di malto Pisener ed uno Munich, ma anche amido di frumento, con
zucchero scuro di canna aggiunto nel bollitore; due tipi di luppolo,
l’Hallertau tedesco e lo Styrian Goldings, aggiunti due volte; lo
stesso ceppo di lievito ad alta fermentazione è usato sia per la prima
fermentazione che per la rifermenatazione in bottiglia, per la quale
viene aggiunto anche zucchero candito. L’uso dello zucchero per le
birre più forti è diffuso in Belgio: lo zucchero è quasi completamente
fermentabile (cioè trasformabile in alcohol e CO2) e questo rende la
birra più digeribile. A parte le destrine non fermentabili, le birre
di puro malto contengono più proteine e minerali. Comunque è meglio
limitare l’uso dello zucchero perché se ne viene usato troppo l’aroma
della birra viene ridotto da quello dell’alcohol e la schiuma dura
meno. Non c’è maturazione in cisterna prima dell’imbottigliamento ma,
successivamente, le birre riposano 6, 8 o 10 settimane
(corrispondentemente alla birra) prima di essere consumate. L’unico
formato delle birre di Rochefort è oggi quello da 33cl. La bottiglia
riporta la data di scadenza che è 5 anni successiva a quella di
produzione.
Nome: Rochefort 10 Nazione di appartenenza: Belgio
Gradazione: 11,3% Vol. Stile: Trappista
Colore: bruno


N uovo
V ecchio
T appo blu
La più forte delle tre Rochefort, e tra le più forti in assoluto del
Belgio, è questa 10, che sulla rigorosa base dello stile trappista
inserisce caratteri tipici di una strong dark ale, e la densità e
complessità di un barley wine. Fu brassata per la prima volta negli
anni 50, ed allora veniva chiamata “Merveille”. Copre il 30% della
produzione della birreria. Il colore è bruno intenso, con riflessi
rosso carminio; la schiuma, generosa ma non indiscreta, è cremosa,
persistente e di color caffelatte. L’aroma è di per sé un capolavoro:
malto fortemente liquoroso, con un accenno di cioccolato e burro, e
soprattutto un’intensa nota fruttata che anticipa le meraviglie del
gusto. Gusto che aggredisce con un sorprendente calore alcolico, il
quale, sommato al corpo morbido e velato di lievito, contribuisce
all’intensità di questa birra sensazionale. Superato lo shock
iniziale, si sprigiona in bocca una serie interminabile di sapori,
tutti perfettamente bilanciati e articolati in modo da non sovrapporsi
e, allo stesso tempo, non scomparire mai del tutto; una vera e propria
macedonia di frutta candita, sia dolce che amara, imbevuta di liquore
e caramello, con un sentore piccante di spezie, liquirizia e cannella.
La presenza del malto è costante e squisita, e mentre nel gusto assume
l’aspetto di pane fresco, nel finale, sorprendentemente secco, si
sposta verso una leggera nota amarognola e affumicata. La birra è
completamente fermentata, e questo la rende vivace nonostante la sua
altà densità di 24,5° Plato. Il retrogusto è generosissimo,
persistente, secco e caldo per l’alcohol.
Un’autentica meraviglia brassicola, una di quelle birre che, ad ogni
bevuta, hanno qualcosa di nuovo da dire. La gradazione alcolica è
evidente, ma non ostacola una straordinaria bevibilità: un’autentica
nemica del palloncino… Da servire a temperatura di cantina, con un
buon tagliere di formaggi teneri e saporiti. Un tesoro di sapore da
bere accanto al camino, un “must” per chiunque ami la birra di
qualità.
Temperatura di servizio: 12-14 °C. Si consiglia di usare il
bellissimo bicchiere originale, da poco rinnovato.
R ochefort 6 (tappo rosso)
Alc. 7.5% vol. Quasi introvabile, se non in alcuni locali di
Rochefort, perché viene prodotta solo due volte all’anno e rappresenta
solo il 5% della produzione. Eccezionale se bevuta in loco, sembra
soffrire molto il trasporto. E’ la più antica delle birre di Rochefort
e discende direttamente dalla birra che veniva prodotta negli anni 30.
La schiuma è fine, abbondante, persistente e lascia merletti sul
bicchiere. Ha un colore rossastro, come di foglie in autunno, ed un
morbido corpo. Al naso è complessa, con un mix di note speziate (anche
pepe!) e luppolo, piacevolmente amplificato in bocca, con sensazione
morbida e vellutata. Al palato l’iniziale erbaceo (suggestione di tè
Darjeeling) evolve presto in un forte fruttato. Ha un intenso
retrogusto di resina.
R ochefort 8 (tappo verde)
Alc 9.2% vol. Come la 10 è abbastanza facile da trovare. E’ la più
prodotta e venduta, coprendo il 60% della produzione, anche se è la
più recente come introduzione, risalendo solo al 1954: allora fu
chiamata “Spéciale” perché prodotta appositamente su ordinazione di un
importante cliente, ma fu tanto gradita da diventare una produzione
permanente.
Ha schiuma bianca, stabile e persistente, un colore marrone-rossiccio
ed un palato che s’impone, con un fruttato fortissimo (un accenno di
fichi). L’aroma, come per la 6, è complesso: speziato con note amare
ma anche fruttate di banana matura e uva passa). Ha gusto leggermente
dolce e non stanca, grazie alla piacevole armonia tra l’alcohol e le
note fruttate. Il retrogusto è nello stesso tempo dolce e secco, con
un tocco dì amaro sorprendente per una birra scura.
Le Rochefort, come tutte le birre ad alta fermentazione ad alta
gradazione, sono eccellenti da invecchiare. La scadenza è
un’indicazione obbligatoria per legge ma è irrilevante: la birra non
deteriora! Al contrario, l’aroma evolve nella bottiglia per effetto
dei lieviti aggiunti e per una serie di processi chimici, ancora non
del tutto noti nei dettagli. Ecco uno schema dettagliato
dell’evoluzione nel tempo della Rochefort 10, in particolare per
quello che riguarda l’aroma, dove i cambiamenti sono più evidenti.
1-2 mesi
schiuma: molto regolare, ma scompare velocemente lasciando solo un
sottile strato
Colore: rosso molto scuro, quasi opaco.
Aroma e gusto: assolutamente amaro, ricorda il caffé forte con tocchi
di cioccolato e forse già un leggero fruttato di pera; sensazione in
bocca di sciroppo. Già ben bilanciata ma necessita ancora di tempo.
2-4 mesi
schuma: idem
aroma: sulla via del pieno fruttato: banana, pera, uva; un intero
cestello di frutta.
Aroma e gusto: ancora un leggero tocco di cioccolato associato con la
dolcezza delle pere conservate, ma con ancora sufficiente amarezza.
Gradevolmente bevibile, eccellente equilibro di tutti i componenti.
4-6 mesi
Schiuma: idem
Aroma: fruttato, travolgente, di una complessita impenetrabile.
Gusto: ancora un picco fruttato, anche se diminuisce in forza
raggiunti i 6 mesi.
6-12 mesi
Schiuma: scompare velocemente, a volte è persino difficile produrla.
Aroma: meno forte e meno complesso, resinoso.
colore: rosso scuro, forse un po’ piiù trasparente di prima.
Gusto: a volte un po’ piatta e senza schiuma, conserva a lungo il
fruttato ma anche un certo amaro.
La birra evolve più velocemente nei primi mesi, da un prodotto
complesso e forte a sensazioni più morbide, e col passare del tempo
perde quasi del tutto i caratteri iniziali. Dopo 6 mesi il lievito non
è quasi più attivo e la complessità ha raggiunto il suo massimo, dopo
di che la birra inizia in qualche modo a perdere le sue
caratteristiche specifiche. Dopo parechhi anni appaiono tratti che
ricordano il porto, il madera e, in alcune birre veramente molto
vecchie, alcuni liquori. A volte, dopo un anno, si distingue
chiaramente un sapore brut. Questa evoluzione dipende dai processi
chimici che si svolgono nelle birre quando sono prodotte con queste
modalità, praticamente in tutte le Trappiste e le birre d’Abbazia
dello stile Dubbel. Conoscerne l’evoluzione ci permette di avere
direttamente il controllo sulla birra: sono birre vive, con gusto in
evoluzione, e possiamo essere noi a decidere quando berle, nel momento
in cui le preferiamo.

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